Andare a trovare Giacomo

    Non me l’hanno mai chiesto.
    Da quando mio fratello Giacomo non vive più con noi, i miei genitori non mi hanno mai detto di andarlo a trovare.
    Come io non chiedo a loro di farlo.
    Credo sia un tacito accordo per rispettare la nostra angoscia e gioia allo stesso tempo di viverlo.
    Percorro da un po’ ormai quella strada con tanti semafori.
    Ferma alla luce rossa alle volte penso all’incontro con lui, altre volte ho bisogno di riempire la mente dalla musica alta della radio per non ascoltare il dolore.
    Lui è sempre lì ad aspettarmi dalla sua carrozzina, con le bavaglie colorate, i calzini per quei piccoli piedini e il cappellino. Qualche volta è appisolato, altre alza subito la testa e mi sorride più presente.
    Poi la passeggiata con il venticello sul viso, le canzoncine, il fargli sentire la nostra voce, lo stare insieme anche in silenzio, i saluti agli altri numerosi ospiti, che si fanno spazio nella nostra vita con le loro particolarità.
    I miei genitori ed io sappiamo quanto può non essere facile andare in quel posto.
    Sappiamo come lì il nostro cuore non può rimanere indifferente a tante condizioni croniche gravi messe insieme, come allo stesso tempo quanto quel luogo rappresenti la misura e il riordino delle nostre emozioni, travolte da una complessa quotidianità.
    Anche il non andarci è faticoso, perché la vicinanza e l’amore per Giacomo sono qualcosa di troppo grande per noi.
    Nel tempo abbiamo compreso che il nostro amore per lui non è misurato dal numero di visite annue.
    Così ci piace lasciarci liberi. Liberi di rispettare il nostro tempo.
    Liberi di amare noi stessi, amarci tra di noi e amare Giacomo.

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